05 ottobre 2023


 CCNL vigilanza privata, il commento dell’Avv. Carlo Fossati sulla sentenza del TAR Lombardia 

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Il commento dell'Avv. Carlo Fossati, Senior Partner dello Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati, alla sentenza del TAR Lombardia n. 272, del 4 settembre 2023

Condividiamo il commento degli Avv.ti Carlo Fossati e Maddalena Saccaggi alla sentenza del TAR Lombardia n. 272, del 4 settembre 2023 (che, in estrema sintesi, ha dichiarato illegittima l’applicazione, sulla base dell’art. 36 Cost., dei minimi retributivi di un CCNL diverso da quello scelto dal datore, se quest’ultimo è siglato dalle associazioni comparativamente più rappresentative della categoria di riferimento).

Il commento mette brillantemente in evidenza come "(...) La sentenza del TAR qui in commento si inserisce – in polemica – nel contesto di un cambiamento di passo epocale ad opera di una parte della magistratura, che ritiene oggi di poter imporre un’interpretazione dell’art. 36 Cost. svincolata dai parametri dei CCNL, anche se stipulati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e dunque nel quadro di una dinamica sindacale certamente “sana”. Nei fatti, e in estrema sintesi, questa magistratura – che afferma i propri principi sia in ambito giuslavoristico che nel contesto di alcune inchieste penali tutt’ora pendenti – attribuisce a se stessa una sorta di “ruolo supplente” che le consentirebbe di intervenire laddove, secondo le sue valutazioni, il legislatore tardi a intervenire e le organizzazioni sindacali – anche se maggiormente rappresentative – non tutelino adeguatamente gli interessi e i diritti delle maestranze (...)". 

Lo stesso non tralascia inoltre di richiamare la recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 27711 del 2 ottobre 2023, affermando che "(...) Il meccanismo – non legislativo – di sostituire minimi tabellari con altri ritenuti maggiormente rispettosi dell’art. 36 Cost., opera, infatti, nel nostro mercato, come fattore distorsore della concorrenza. Quello che sta succedendo oggi, in verità, è che numerose aziende del settore della vigilanza – per lo più del Nord Italia – si stanno forzosamente adeguando ai minimi retributivi imposti dalla magistratura, mentre altre aziende – perché semplicemente non coinvolte in inchieste penali su questo tema né sottoposte a accertamenti ispettivi o a controversie di lavoro – stanno “resistendo”, continuando a dare applicazione alle tabelle contenute nei CCNL di riferimento. Questo attribuisce, ovviamente, loro un rilevante vantaggio competitivo, mettendole potenzialmente nella condizione di aggiudicarsi con facilità appalti e commesse, a detrimento di chi, invece, è stato costretto ad adeguarsi a tabelle imposte dall’Autorità (magistratura o Ispettorato del Lavoro). (...) È, dunque, evidente la potenzialità distorsiva del mercato libero e della concorrenza che porta con sé l’imposizione da parte del Giudice di minimi tabellari diversi rispetto a quelli fissati dal CCNL Vigilanza e Servizi Fiduciari (...)".

Vi lasciamo di seguito alla lettura integrale di questo interessante commento a sentenza (scaricabile anche in allegato).

 

Articolo| La sentenza del TAR Lombardia n. 272, del 4 settembre 2023

Avv. Carlo Fossati 

  • Il principio di separazione dei poteri.

Innanzitutto, la sentenza in commento, riafferma un principio fondamentale, che deve essere considerato un cardine di tutte le democrazie occidentali: quello della separazione dei poteri.

Per valutare la portata della pronuncia in commento, occorre, innanzitutto, collocarla in una prospettiva “storica”, ricordando che, per la nostra giurisprudenza, il principio secondo il quale l’art. 36 Cost. (che attribuisce al lavoratore il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque sufficiente a garantire a se stesso e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa), è una norma immediatamente precettiva – e non meramente programmatica – è affermato univocamente da lungo tempo, di modo che possa considerarsi pacifico il potere del giudice, di fronte a retribuzioni palesemente inadeguate, di intervenire imponendo una remunerazione “corretta”. In questo, dunque, non vi è nulla di originale o rivoluzionario nei più recenti orientamenti giurisprudenziali.

Il punto, però, è che storicamente, proprio per evitare di attribuire al magistrato un potere arbitrario nella determinazione di quel che deve considerarsi “proporzionato e sufficiente”, con conseguenze imprevedibili e potenzialmente aberranti, la stessa giurisprudenza ha costantemente ritenuto che il giudice, nel valutare la congruità della retribuzione, fosse vincolato ai parametri stabiliti dalla contrattazione collettiva di settore. Quel che rispettava, in altre parole, le tabelle dei minimi retributivi contenuti nei contratti collettivi era considerato sufficiente. Quel che, invece, non lo rispettava era considerato inadeguato e il giudice, di conseguenza, aveva il potere di imporre con sentenza l’applicazione dei predetti minimi tabellari. 

Solo i contratti collettivi “patologici” – perché stipulati da organizzazioni sindacali ritenute non rappresentative o addirittura “di comodo” (cd. “sindacati gialli”) non potevano e non dovevano essere presi in considerazione, mentre i CCNL “sani” (perché stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative nel settore nell’esercizio della loro autonomia collettiva ex art. 39 Cost. ai sensi dell’art. 7 L. 31/2008[1]), di fatto, stabilivano i parametri retributivi minimi applicati a tutti i lavoratori del comparto produttivo.

La sentenza del TAR qui in commento si inserisce – in polemica – nel contesto di un cambiamento di passo epocale ad opera di una parte della magistratura, che ritiene oggi di poter imporre un’interpretazione dell’art. 36 Cost. svincolata dai parametri dei CCNL, anche se stipulati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e dunque nel quadro di una dinamica sindacale certamente “sana”.

Nei fatti, e in estrema sintesi, questa magistratura – che afferma i propri principi sia in ambito giuslavoristico che nel contesto di alcune inchieste penali tutt’ora pendenti – attribuisce a se stessa una sorta di “ruolo supplente” che le consentirebbe di intervenire laddove, secondo le sue valutazioni, il legislatore tardi a intervenire e le organizzazioni sindacali – anche se maggiormente rappresentative – non tutelino adeguatamente gli interessi e i diritti delle maestranze. 

La sentenza del TAR qui in commento, secondo la personale valutazione di chi scrive, rimette coraggiosamente ordine nei ruoli e nelle prerogative delle diverse articolazioni che compongono lo Stato, restituendo a ciascuno dei tre poteri i compiti e i limiti che gli sono propri, ricordando, sia pure implicitamente, alla magistratura che ad essa compete di applicare le leggi e non di svolgere un ruolo “supplente” rispetto al Parlamento o al Governo o alle stesse organizzazioni sindacali, ruolo che non è contemplato dal nostro ordinamento.

Basti, qui, ricordare un passaggio fondamentale della pronuncia in oggetto, la quale statuisce, tra l’altro, quanto segue: “Nemmeno può prendersi a riferimento, da parte di qualsivoglia autorità di controllo, un salario individuato con parametri differenti rispetto a quanto stabilito in sede normativa – in assenza di un salario minimo previsto (e imposto) dalla legge – visto che, oltre alla violazione del disposto di cui all’art. 7, comma 4, del decreto legge n. 248 del 2007, convertito in legge n. 31 del 2008, che individua le modalità di commisurazione del trattamento economico proporzionato e sufficiente, si lascerebbe all’Amministrazione procedente (in sede ispettiva) o al giudice (in sede contenziosa) la scelta in ordine alla giusta retribuzione, con inevitabili conseguenze in termini di disparità di trattamento tra i lavoratori e le imprese, stante il carattere parcellizzato e soggettivo di tali interventi, e con le ulteriori conseguenze, difficilmente preventivabili nel loro impatto, correlate a interventi certamente avulsi da un approccio di natura complessiva e sistemica rispetto a tale delicato settore, sia per i risvolti sociali che per quelli economici e produttivi”.

In questo senso, chi scrive ritiene che la pronuncia in commento abbia, prima di tutto e tra gli altri, il grande merito di restituire al principio della separazione dei poteri il suo irrinunciabile spazio nel nostro ordinamento democratico.

  • Il concetto della soglia di povertà.

Se, in casi analoghi a quello analizzato, si segue il ragionamento dei giudici che – al contrario di quanto correttamente fatto dal TAR Lombardia - si disancorano dai parametri del CCNL Servizi Fiduciari e Vigilanza, si approda al concetto utilizzato in molte recenti pronunce giurisprudenziali della cd. soglia di povertà.

L’ultima pronuncia intervenuta in materia è stata proprio da parte della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27711, pubblicata il 2 ottobre 2023, nell’ambito della quale la Suprema Corte ha espresso il seguente principio di diritto:

“1.- Nell’attuazione dell’art. 36 della Cost. il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata.

2.- Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe.

3.- Nella opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099,2° comma c.c., può fare altresì riferimento, all’occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022.

La recente Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022 “relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea termine” – richiamata dalla Corte di Cassazione - convalida in più di una disposizione il riferimento in questa materia agli indicatori Istat, sia sul costo della vita sia sulla soglia di povertà, oltre che ad altri strumenti di computo ed indicatori nazionali ed internazionali[2].

Dunque, secondo la Suprema Corte, il giudice sarebbe abilitato a sostituire un contratto collettivo ad un altro ritenuto maggiormente idoneo ad attuare i principi costituzionali ex art. 36 Cost. sul salario minimo sulla base di una valutazione fondata su indici nazionali, richiamati oggi anche dalla normativa europea sopracitata, comunemente utilizzati per l’individuazione del salario adeguato, quali gli indicatori ISTAT sulla soglia di povertà.

Giova sottolineare come, al momento in cui il TAR ha emesso la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione non si era ancora espressa su questo delicato tema nei termini sopra indicati.

Ciò posto, basti qui considerare come il TAR della Lombardia, nella sentenza qui in commento, sottolinei come indici e parametri diversi dai minimi tabellari contenuti nei CCNL di settore – quali quello della cd. “soglia di povertà” richiamato dalla Suprema Corte – rischino di essere fuorvianti, attribuendo, nei fatti, un potere discrezionale dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente aberranti, anche sul tessuto economico del Paese e sui meccanismi della concorrenza tra imprese (tema sul quale torneremo a breve).

Basti, per ora, ricordare come sia un dato ben conosciuto quello secondo il quale la situazione economica del nostro Paese sia estremamente diversificata dal punto di vista geografico e come, di conseguenza, la stessa individuazione di una presunta “soglia di povertà” unica per tutto il territorio nazionale sia in sé una evidente distorsione, stante le ben note differenze nel costo medio della vita tra Nord e Sud del Paese.

  • La distorsione del mercato libero.

Un rischio che la pronuncia del TAR in commento tende a neutralizzare, ritenendo i minimi tabellari del CCNL Vigilanza e Servizi Fiduciari conformi all’art. 36 Cost. ma che, all’opposto, la sentenza della Corte di Cassazione, n. 27711 del 2 ottobre 2023 sopra richiamata rischia di rivitalizzare con forza, è quello della distorsione del mercato.

Il meccanismo – non legislativo – di sostituire minimi tabellari con altri ritenuti maggiormente rispettosi dell’art. 36 Cost., opera, infatti, nel nostro mercato, come fattore distorsore della concorrenza.

Quello che sta succedendo oggi, in verità, è che numerose aziende del settore della vigilanza – per lo più del Nord Italia – si stanno forzosamente adeguando ai minimi retributivi imposti dalla magistratura, mentre altre aziende – perché semplicemente non coinvolte in inchieste penali su questo tema né sottoposte a accertamenti ispettivi o a controversie di lavoro – stanno “resistendo”, continuando a dare applicazione alle tabelle contenute nei CCNL di riferimento. Questo attribuisce, ovviamente, loro un rilevante vantaggio competitivo, mettendole potenzialmente nella condizione di aggiudicarsi con facilità appalti e commesse, a detrimento di chi, invece, è stato costretto ad adeguarsi a tabelle imposte dall’Autorità (magistratura o Ispettorato del Lavoro).

Il TAR Lombardia tiene in debita considerazione nelle motivazioni della pronuncia del 4 settembre 2023, tale fenomeno economico-commerciale, tanto che si legge nella sentenza in commento: “l’idoneità del richiamato Contratto collettivo “Vigilanza e servizi fiduciari” è rilevabile anche dalla circostanza che è stato preso a riferimento dal Ministero del Lavoro nella predisposizione delle tabelle relative alla determinazione del costo orario delle prestazioni da applicare in sede di verifica della congruità delle offerte presentate in sede di partecipazione agli appalti pubblici (art. 97 del D. Lgs. n. 50 del 2016, ora art. 110 del D. Lgs. n. 32 del 2023). Di conseguenza, il livello retributivo individuato in tale Contratto collettivo è stato assunto, anche in sede ministeriale, quale parametro di riferimento per le prestazioni offerte dalle imprese che ottengono l’aggiudicazione degli appalti pubblici. Ulteriormente, va rilevato – come ampiamente segnalato nel ricorso e nelle difese della ricorrente – che gli stessi Enti pubblici, tra cui anche l’Ispettorato del Lavoro odierno resistente, richiedono alle imprese che partecipano alle gare da essi indette per acquisire servizi di vigilanza e di natura similare l’applicazione del C.C.N.L. per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari”.

È, dunque, evidente la potenzialità distorsiva del mercato libero e della concorrenza che porta con sé l’imposizione da parte del Giudice di minimi tabellari diversi rispetto a quelli fissati dal CCNL Vigilanza e Servizi Fiduciari.

Il sistema legale secondo cui il trattamento complessivo minimo da garantire al socio lavoratore è quello previsto dal C.C.N.L. comparativamente più rappresentativo del settore della vigilanza, che funge da parametro esterno di commisurazione della proporzionalità e della sufficienza del trattamento economico da corrispondergli ai sensi dell’art. 36 Cost. ha un fondamento e una tenuta nel nostro ordinamento ed è stato giustamente riaffermato e protetto in questa pronuncia del TAR della Lombardia, che confidiamo troverà un proprio spazio anche nei prossimi sviluppi giurisprudenziali di questa delicata materia.

 

Carlo Fossati e Maddalena Saccaggi

Avvocati in Milano

 

[1] Art. 7 comma 4 D.lgs. 248/2007, convertito in L. n. 31/2008: “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in  presenza  di  una pluralità di  contratti  collettivi  della  medesima  categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione  di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori,  ai  sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001,  n.  142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli    dettati    dai  contratti   collettivi   stipulati   dalle organizzazioni    datoriali   e   sindacali   comparativamente   più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.

[2] Cfr. considerando n. 28 [in materia di parametri utili per determinare l'adeguatezza del salario] “la valutazione potrebbe inoltre basarsi su valori di riferimento associati a indicatori utilizzati a livello nazionale, come il confronto tra il salario minimo netto e la soglia di povertà e il potere d’acquisto dei salari minimi”.